Da sempre considerate la spina dorsale dell’economia italiana, le Pmi sono le più
penalizzate in ambito fiscale. Tartassate da tributi di ogni tipo, nel 2012 sono state
protagoniste letteralmente di una moria che ha contato 1000 fallimenti al giorno.
Stando agli ultimi dati di Bankitalia, lo Stato è debitore nei confronti delle società di circa
90miliardi, una cifra esorbitante che però non tiene conto delle Pmi perchè l’indagine è
stata creata su campioni di società che contano più di 20 addetti, mentre la stragrande
maggioranza delle Pmi italiane è sotto questa soglia. Stando alle dichiarazioni della Cgia
di Mestre, volendo comprendere anche questa fetta dell’economia, si arriverebbe a cifre
che sfiorano i 130 miliardi. E in questo caso, se già è stato difficile riuscire a reperire i fondi
per sanare il primo debito, sarebbe matematicamente impossibile coprire questo eventuale
secondo buco.
Ciò che più sconvolge in tutto questo è il fatto che la crisi è stata solo un fattore relativo
rispetto alla serie di imposte statali che non hanno fato altro che aumentare nell’ultimo
anno facendo arrivare il livello di impatto totale sulle aziende al 53% entro la fine del 2013,
un 3% in più in meno di 4 anni.
Eppure, nonostante ciò continuano a essere sotto l’occhio interessato degli investitori
esteri che sfruttano la sottovalutazione di quelle presenti a Piazza Affari caratterizzate a
loro volta da una bassa capitalizzazione (la metà di loro non raggiunge i 100 milioni). Un
buono stato di salute dettato anche dall’entrata in campo di nuove reclute come Brunello
Cucinelli l’anno scorso e Moleskine proprio in questi giorni, linfa vitale che ha permesso
agli investitori di vedere di buon occhio quel + 12% fatto dall’indice Ftse Italian Star in
poco più di 4mesi contro un generale -3% delle all share.
Fortunatamente il paragone con le dirette concorrenti estere (statunitensi in primis) gira a
vantaggio di quelle nostrane e permette un ritorno di chi crede ancora nella forza del
sistema economico italiano al di là dei grandi nomi.
Il paradosso si trova tutto in questa situazione: le grandi società non hanno difficoltà nel
trovare fondi e capitali, ma non sono appetibili da un punto di vista dei prezzi, le piccole,
invece, almeno fino al ripristino di una situazione politica serena, hanno difficoltà nel
riuscire a mantenere una situazione economica florida, cosa che invece permette di
destare l’attenzione sullo sviluppo, una volta risolo il nodo politico, quello che più di tutti
blocca il fluire di capitali verso Roma.
Nel frattempo si preferisce unire entrambi i versanti e quindi si punta su small cap che
però traggono per la maggior parte i propri guadagni all’estero e non vengono perciò
influenzate da consumi interni che tendono a scendere su livelli pericolosamente bassi
ormai da un decennio.
Stando alle opinioni degli esperti di Banca Ifigest, le potenzialità delle Pmi italiane saranno
pienamente sbloccate una volta risolto l’indovinello politico. Insieme al problema Cipro è
proprio lui a bloccare gli investimenti. Su un fronte macro, infatti, la situazione generale
vedeva un ritorno dell’economia Usa ormai stabilizzatasi su un trend positivo di crescita,
sottile ma costante, e a una serie di progetti strutturali di riforma dell’economia cinese,
ormai giunta alla metamorfosi e alla soglia della maturità.
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